Carrà Gaini

Sanzioni e contestazioni privacy, quali rimedi?

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Nei precedenti articoli abbiamo parlato di sanzioni delle procedure amministrative di accertamento delle violazioni privacy e delle modalità di applicazione delle sanzioni, ma ora vediamo quali sono gli strumenti di “difesa” in caso di contestazione e di sanzione.
Come detto, è possibile che la violazione della normativa vigente venga contestata, alternativamente, dall’interessato con ricorso in sede giurisdizionale, o in sede amministrativa con reclamo al Garante.

L’azione giurisdizionale

Quanto alla tutela giudiziaria, la competenza è del giudice del lavoro, e così il rito da seguire.
La competenza per territorio è alternativa: è competente sia il giudice del luogo ove il titolare del trattamento risiede o ha sede, che il tribunale del luogo di residenza dell’interessato, a scelta del ricorrente.

In giudizio l’interessato, oltre ad eventualmente chiedere provvedimenti (magari anche cautelari) volti a impedire/sospendere la violazione privacy in corso, potrà chiedere la liquidazione del risarcimento dei danni, patrimoniali e non, che ritiene aver subito. L’onere della prova incombe sull’interessato, che dovrà quindi dimostrare l’esistenza del danno, il suo ammontare (talvolta liquidabile anche in via equitativa) ed il nesso di causalità che lega la violazione privacy al danno stesso.

L’interessato può anche attivarsi in giudizio all’esito del reclamo svolto al Garante, al solo fine di chiedere la liquidazione del risarcimento dei danni derivanti dall’illecito trattamento accertato.

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Il titolare (o il responsabile) del trattamento, per resistere alla domanda, potrà costituirsi in giudizio con le forme proprie del processo del lavoro, e dunque depositando memoria difensiva almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata, allegando tutti i mezzi istruttori già con l’atto introduttivo, per evitare le decadenze e preclusioni del rito.

Il Giudice dispone che sia data comunicazione al Garante circa la pendenza della causa, affinché lo stesso possa presentare osservazioni sulla controversia in corso.

Sul punto lo stesso Garante riferisce di aver ad oggi

limitato la propria attiva presenza, nei giudizi che non coinvolgono direttamente pronunce dell’Autorità, ai soli casi in cui sorge, o può sorgere, la necessità di difendere o comunque far valere particolari questioni di diritto”.

Per precisione tecnica, la disciplina processuale è data dall’art. 152 del nuovo D.Lgs 101/2018 (che modifica il vecchio Codice della Privacy di cui all’art. 196/2003), che rinvia all’art. 10 del D.Lgs 150/2011 (che altrettanto già a suo tempo interveniva sul citato Codice della Privacy).

Rimedi ai provvedimenti amministrativi

Qualora invece esista una contestazione o sanzione amministrativa, dunque un provvedimento comminato dal Garante, anche tramite la GdF (come detto nel precedente articolo), i rimedi variano a seconda della posizione degli attori della controversia.

L’art. 78 del GDPR dispone che ogni persona fisica o giuridica ha diritto alla tutela giurisdizionale avverso una decisione vincolante dell’autorità di controllo e dunque di proporre ricorso avanti al tribunale dello stato membro in cui l’autorità di controllo è stabilita.

In particolare, l’interessato, che abbia già proposto reclamo al Garante, ma senza aver ricevuto riscontro entro tre mesi dalla domanda, per ottenere la tutela di legge, potrà proporre ricorso al tribunale in cui il titolare o il responsabile del trattamento ha uno stabilimento o dove l’interessato risiede abitualmente.

Ove esistano esigenze cautelari, potrà trovare applicazione l’art. 700 c.p.c. ed il giudice civile potrà adottare tutti i provvedimenti che avrebbe potuto applicare il Garante in via amministrativa (tra cui l’oscuramento, la rimozione o, nello specifico, il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet, previa conservazione dei dati originali di cui al primo comma dell’art. 1 della L. 71/2017 in materia di cyberbullismo).

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Il titolare/responsabile che abbia ricevuto la notifica di verbale della GdF potrà, già in sede amministrativa, inviare al Garante una memoria difensiva e, qualora venga comunque applicata la sanzione, ha diritto ad impugnarla in giudizio entro trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento, ovvero entro sessanta  giorni se  il ricorrente risiede all’estero (N.B.: si applica la sospensione feriale dei termini) avanti all’autorità giurisdizionale ordinaria, e dunque al tribunale del lavoro, competente per territorio secondo le regole sopra richiamate.

Con il ricorso al tribunale potrà essere impugnata l’ordinanza-ingiunzione del Garante e/o il verbale di contestazione di violazione amministrativa predisposto dalla GdF. Potrà essere motivata la richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, secondo gli ordinari criteri cautelari di sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Il ricorso, assieme al decreto di fissazione d’udienza emesso dal giudice del lavoro, dovrà essere notificato al Garante presso l’Avvocatura di Stato.

I motivi di ricorso possono attenere ad irregolarità del procedimento amministrativo svolto o vizi di merito, con cui invocare la nullità del verbale di accertamento, tra cui:

  • omessa indicazione delle dichiarazioni rese dal trasgressore;
  • erroneità della norma violata e/o della somma irrogata o dell’importo da pagare in misura ridotta;
  • errata qualificazione dell’omessa informativa o consenso (N.B.: che può essere anche orale);
  • violazione dei termini dell’iter sanzionatorio (richiamando l’art. 2 della L. 241/90 circa il diritto soggettivo del privato ad una tempestiva definizione del procedimento amministrativo, richiamando pronunce giurisprudenziali sul punto), con richiesta di inefficacia della sanzione comminata.

Come per rito, tutti i mezzi di prova dovranno essere proposti con il ricorso introduttivo, come le prove testimoniali, che nel caso potranno essere impiegate nel tentativo di sopperire a talune mancanze documentali.

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