Il nostro percorso (settimanale) all’interno della complessa realtà societaria si sofferma oggi sul tema dei finanziamenti dei soci e del principio della “postergazione”.
La postergazione è spesso causa di sorprese e disincanti per il socio finanziatore: “ma, come avvocato, mi sta dicendo che la società non può restituire il mio finanziamento e deve prima pagare tutti gli altri creditori?”
Non è raro sentirci chiedere così disarmanti domande. Ma andiamo con ordine.
In funzione di problemi di sottocapitalizzazione di una società, infatti i soci possono ricorrere all’aumento di capitale, o decidere di essere loro stessi finanziatori dell’impresa.
Il finanziamento dei soci, tuttavia, non è di immediata qualificazione e se non è eseguito con la consapevolezza necessaria, o la conoscenza dei suoi aspetti essenziali, rischia di aprire un percorso insidioso tra aspettative disattese e false illusioni.
Innanzitutto, non è sempre facile determinare correttamente se questi versamenti siano qualificabili come:
- mero apporto di capitale di rischio, per il quale non vi è obbligo di restituzione da parte della Società ricevente;
- veri e propri finanziamenti di un socio a favore di una società, che implicano invece l’obbligo di rimborso (ma alle condizioni che di seguito apprenderemo).
E’ bene poi tener presente che la restituzione del finanziamento è subordinata alla preventiva soddisfazione dei creditori sociali.
Da qui il principio di postergazione, che trova applicazione sia durante la vita stessa dell’impresa che in fase di liquidazione.
Il principio di postergazione applicato ai finanziamenti
Il principio di postergazione è disciplinato dall’art.2467 del Codice civile, secondo cui:
«il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito» (art.2467, c.1, c.c.).
Ove per “finanziamenti dei soci” s’intendono
«quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento» (art.2467, c.2,c.c.).
La postergazione, dunque, implica che la restituzione dei finanziamenti sia effettuata dalla società (ai soci) solo dopo che i creditori sociali siano stati integralmente soddisfatti.
Quindi un socio creditore della propria società in ragione del finanziamento erogatole per il suo “sostentamento”, non potrà rientrare del proprio “investimento” fin tanto che gli altri creditori della stessa (fornitori) non siano stati soddisfatti.
Il principio è da leggersi a tutela appunto dei creditori sociali che hanno posto fiducia nella società stessa senza avere la possibilità di conoscere il reale stato di salute economica in cui versa.
Infatti, si può (an)notare una sorta di irragionevolezza nell’uso dei finanziamenti quando si riscontra un’effettiva sproporzione tra l’indebitamento e il patrimonio netto, in considerazione anche del tipo di attività svolta dall’impresa.
È bene dunque considerare quanto presentato per valutare il finanziamento in ragione della sua erogazione e restituzione.
Erogazione e restituzione dei finanziamenti
In relazione allo stato di crisi dell’impresa finanziata, si possono ipotizzare i seguenti scenari:
1° caso
Quando l’impresa vive una situazione di crisi sia all’atto dell’erogazione del finanziamento che della richiesta di restituzione dei soci, il rimborso non è esigibile.
Questo perché l’eventuale restituzione, proprio per la crisi in essere dell’impresa, potrebbe portare ad un effettivo stato d’insolvenza, tale da comprometterne la continuità (a favore dei soci e a scapito dei creditori).
In applicazione del principio di postergazione, solamente in caso di un superamento dello squilibrio patrimoniale della società, sarà possibile emettere il rimborso del finanziamento, tributato in principio come anomalo.
Per cui in uno stato permanente di insolvenza non si può restituire alcun credito ai soci, ma vi è l’obbligo di restituzione solo al cessare dello stato di crisi.
2° caso
Quando l’impresa vive uno stato di crisi al momento dell’erogazione del finanziamento ma non al momento della relativa restituzione.
Per cui se la situazione di crisi è superata quando i soci richiedono la restituzione del finanziamento, il rimborso è esigibile.
3° caso
Quando l’impresa si trova in una buona situazione economico-finanziaria al momento dell’erogazione del finanziamento ma in uno stato di crisi alla richiesta di rimborso.
In applicazione dell’art.2467 c.c., partendo dal versamento di denaro in una situazione ideale, si presupporrebbe di poter poi ottenere la restituzione.
Ma il successivo peggioramento delle condizioni economiche della società impedisce invece la restituzione per non gravare sul soddisfacimento dei creditori.
4° caso
Quando l’impresa si trova in una buona situazione economico-finanziaria sia al momento dell’erogazione che della restituzione del finanziamento.
In questo caso, essendo il finanziamento usato unicamente come uno strumento alternativo all’aumento di capitale, non vi è alcun impedimento alla relativa restituzione né rischi per i creditori.
Criterio di valutazione dei finanziamenti
Da questa breve panoramica si evince, da una parte, che il criterio di valutazione tra erogazione e restituzione è basato non tanto sul momento in cui si erogano i finanziamenti, quanto su quello in cui questi dovranno essere rimborsati.
Dall’altra parte, per contestare l’inesigibilità del credito finanziato, l’impresa dovrà dimostrare che vi siano effettivamente le condizioni per applicare la postergazione legale sia al momento dell’erogazione del finanziamento, che della richiesta di restituzione.
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