Nel caso di genitori non sposati e non conviventi che abbiano figli minorenni può la madre “collocataria” decidere di trasferirsi con la figlia senza avere il consenso del padre?
Il nuovo articolo 316 del codice civile prevede che i genitori debbano stabilire la residenza abituale dei figli minori “di comune accordo” e che in caso di contrasto “ciascuno dei genitori può ricorrere al giudice”.
Pertanto, mancando un accordo scritto con il padre ed in assenza di un affidamento esclusivo a favore della madre, la soluzione risulta essere il ricorso al giudice tutelare competente.
Infatti, il cambio di residenza operato senza il consenso dell’altro genitore configurerebbe un comportamento punibile:
– dal punto di vista civile, con la modifica dei provvedimenti in vigore fra le parti, un obbligo di risarcimento del danno eventualmente verificatosi per le difficoltà del padre a reperire la minore, ed una sanzione amministrativa (artt. 337-sexies c.c. e 709–ter c.p.c.).
– da un punto di vista penale, con una reclusione da uno a tre anni, configurando gli estremi del reato di “sottrazione di minore e persona incapace”, ove il minore abbia meno di quattordici anni e se il trasferimento sia stato posto in essere in modo da impedire la frequentazione del figlio con l’altro genitore (art. 574 c.p.).
Proposta l’istanza al Giudice tutelare, il problema che si pone è di c.d. “rilocazione della figlia”. Posto che nessun Tribunale ha il potere di limitare la libertà di circolazione di una persona, e posto che certamente il cambiamento di residenza rende molto difficoltosa l’applicazione del principio definito di “bigenitorialità”, il magistrato è chiamato a valutare se il trasferimento rappresenti la soluzione ottimale anche per la minore.
Per farlo, il giudice di legittimità deve applicare alcuni criteri specificatamente previsti e collaudati dalla
giurisprudenza e dalla letteratura di settore, specificati (seppur non in modo esclusivo) dal Tribunale di Milano con ordinanza del 12 agosto 2014: le ragioni alla base del trasferimento, se esso è in grado di garantire al minore il suo diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e con i parenti di ciascun ramo genitoriale, l’eventuale disponibilità del genitore non collocatario a trasferirsi, il nuovo contesto sociale e familiare rispetto a quello “di partenza”, l’età della minore, le possibili ripercussioni del cambio di residenza sulla fanciulla ed infine le dichiarazioni della minore stessa.
Il giudice tutelare, quindi, è chiamato ad una valutazione minuziosa sull’incidenza che il trasferimento avrebbe sulla vita della minore, tenendo altresì conto che il trasferirsi in altra città è “un diritto fondamentale costituzionalmente garantito e nessuna norma impone di privare il coniuge che intenda trasferirsi, per questo solo fatto, dell’affidamento o del collocamento dei figli presso di sé.” (Corte di Cassazione, sentenza n. 9633/2015).
Da ultimo, occorre precisare che gli argomenti trattati riguardano tanto i figli naturali quanto quelli legittimi , per l’avvenuta equiparazione fra le due categorie.