In seguito ad un caso di licenziamento economico, sorge ancora una volta una questione di legittimità costituzionale sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dalla Legge Fornero (Legge n. 92 del 28 giugno 2012), stavolta in merito al concetto di “manifesta” insussistenza del fatto.
Questione che la Corte è stata chiamata a valutare in relazione alla disciplina dell’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (in cui rientra il licenziamento economico), che presuppone la dimostrazione del «carattere manifesto dell’insussistenza del fatto», ai fini della reintegrazione sul posto di lavoro.
Licenziamento per g.m.o. economico e la reintegrazione
Il licenziamento c.d. economico consiste nell’interruzione del rapporto di lavoro su decisione unilaterale del datore di lavoro, per motivi che esulano dal comportamento del dipendente, ma che riguardano la sfera economica e di organizzazione dell’impresa.
Nel sistema su cui è intervenuta la Corte, tale tipologia di licenziamento comportava la reintegrazione sul posto di lavoro solo se, appunto, fosse dimostrata la manifesta insussistenza del fatto. Diversamente è prevista solo una tutela indennitaria, seppur c.d. forte.
Il Tribunale di Ravenna, in un caso avente ad oggetto l’impugnazione di un tale licenziamento, ha ritenuto di sollevare la questione costituzionale da rimettere alla Corte Costituzionale, denunciando la violazione della Costituzione (agli artt. 1, 3, 4, 24 e 35 Cost.) in merito alla disciplina del reintegro del lavoratore prevista dal comma 7 dell’art. 18.
La controversia, infatti, aveva visto l’opposizione del datore di lavoro (di un’impresa con più di 15 dipendenti) ad un’ordinanza di reintegrazione sul posto di lavoro di un lavoratore, licenziato tre volte nell’arco di alcuni mesi, di cui due per giusta causa e una per giustificato motivo oggettivo.
La questione di legittimità posta alla base della sentenza della Corte in commento – n. 125 del 19 maggio 2022 – è focalizzata:
- non tanto sul problema della reintegrazione,
- quanto sulla «manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo», per ragioni economiche, produttive e organizzative.
Ma cosa significa “manifesta insussistenza del fatto”?
Requisito dell’insussistenza del fatto
“Insussistenza del fatto” vuol dire che il fatto posto a motivazione del licenziamento , in realtà non si è verificato, non regge, e si presuppone sia un fatto quindi costruito a regola d’arte per tentare di giustificare il licenziamento.
Alla luce di quanto detto, il “fatto” richiamato dall’art. 18 deve essere un fatto «giuridicamente rilevante», per cui parlare dell’insussistenza del fatto su cui si fonda un licenziamento significa che il licenziamento è infondato, illegittimo.
Un’alternativa netta, insomma: o il fatto si è verificato, oppure no.
Ad esempio, in caso di licenziamento disciplinare, se dovesse risultare che l’addebito contestato al lavoratore non è stato da questi in realtà commesso, vi sarà un’ipotesi di insussistenza del fatto.
Requisito del carattere manifesto
Sino all’intervento della Corte Costituzionale, la normativa in esame, ai fini dell’ordine di reintegrazione del lavoratore, prevedeva un ulteriore requisito, ovvero che l’insussistenza del fatto fosse “manifesta”.
La Corte considera tale requisito indeterminato, tanto da comportare un’incertezza interpretativa e un conseguente «discrimine tra l’evidenza conclamata del vizio e l’insussistenza pura e semplice del fatto».
La Corte osserva che da ciò si avrebbe un’illegittima diversità di trattamento tra i licenziamenti per:
- giustificato motivo oggettivo;
- giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
Era da tempo evidente, infatti, che l’indeterminatezza del termine “manifesta” insussistenza, assieme all’ampia discrezionalità concessa al giudice, priva di parametri direttivi attendibili e coerenti per valutare la graduazione, marcata o meno, dell’insussistenza, determinasse una seria difficoltà interpretativa.
Secondo la Corte, l’accertamento di un siffatto elemento risulta labile e imprevedibile, ed il criterio scelto dal legislatore sarebbe irragionevole, lontano dalle esigenze di linearità e celerità dell’accertamento giudiziale.
Il tutto comporta un significativo squilibrio tra le diverse tutele previste dalla legge in caso di licenziamento, con violazione delle norme costituzionali sopra richiamate.
Decisione della Corte
Appurato il contrasto con i principi espressi dalla nostra Costituzione, con la sentenza n. 125/2022, la Corte Costituzionale ha pertanto dichiarato l’illegittimità costituzionale della parola “manifesta” eliminandola dal comma 7 dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori, per come modificato dalla Legge Fornero.
Si osserva che la Corte Costituzionale era già intervenuta nel 2021 sul medesimo comma 7 della norma in esame, con Sentenza n. 59/2021, modificando la parola “può” in “applica altresì”, limitando così una irragionevole discrezionalità del giudice circa l’applicazione della tutela reintegratoria, in caso di (già) manifesta insussistenza del fatto posto alla base di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Con questi interventi la Corte Costituzionale sta dunque modellando e riadattando l’art. 18 ai principi costituzionali, certo a tutela dell’uguaglianza dei lavoratori, ma anche della certezza applicativa del diritto, a vantaggio delle imprese e degli operatori del diritto.
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