Dopo il lungo lockdown imposto dall’emergenza sanitaria da Covid-19, recentemente, il nostro Governo ha concesso una graduale ripresa delle attività.
Il riavvio delle attività produttive è subordinato ad una riorganizzazione aziendale, volta alla gestione del rischio da contagio da Covid-19, al fine di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Al riguardo, nelle ultime settimane, un complesso sistema di regole (decreti legge, D.P.C.M., ordinanze regionali, linee guida e protocolli) si è andato via via stratificando per assicurare la compatibilità tra la salute e il lavoro.
A livello normativo, gli ultimi interventi sono quelli del D.C.P.M. del 26 aprile 2020, del D.L. del 16 maggio 2020, n. 33 e del successivo D.P.C.M. del 17 maggio.
In parallelo sono stati approvati vari protocolli[1], sia di portata generale sia più specifici, con l’obiettivo di fornire indicazioni operative affinché nei diversi ambienti di lavoro, non sanitari, siano adottate efficaci misure precauzionali di contenimento e di contrasto alla diffusione del Covid-19.
In altri termini, lo svolgimento dell’attività lavorativa non deve essere occasione di diffusione del coronavirus.
I suddetti Protocolli, di cui il primo tra Governo e Parti Sociali del 13.03.2020 (revisionato il 24.04.2020), sono stati recepiti dal D.P.C.M del 26 aprile 2020 e quindi nel recente D.P.C.M. del 17 maggio, acquistando, così, rango normativo.
Di conseguenza le aziende sono tenute al rispetto dei Protocolli citati, tanto è vero che la loro inosservanza è sanzionata, anche con la sospensione dell’attività sino al ripristino delle condizioni di sicurezza.
In questa fase di ripartenza, di fondamentale importanza sono anche le raccomandazioni dell’INAIL sul contenimento del contagio da Covid-19 nei luoghi di lavoro.
Il raccordo tra le linee guida Inail e i Protocolli ha permesso l’elaborazione di una serie di misure organizzative, di prevenzione e protezione a cui gli imprenditori devono ispirarsi nell’organizzazione della propria attività.
Tali misure organizzative e di prevenzione attengono alla gestione degli ambienti di lavoro, che devono essere riorganizzati per garantire il distanziamento sociale ed impedire eventuali assembramenti.
In particolare, si raccomanda di:
- organizzare percorsi differenziati per l’ingresso e l’uscita dal luogo di lavoro;
- negli spazi dove operano contemporaneamente più lavoratori, di procedere con il riposizionamento delle postazioni di lavoro, distanziandole tra loro, ovvero introducendo barriere protettive (pannelli in plexiglass) od orari di lavoro differenziati;
- privilegiare il lavoro agile, c.d. smart-working, laddove possibile, riducendo e/o evitando, così, i contatti personali negli ambienti di lavoro;
- favorire alle riunioni in presenza il collegamento a distanza;
- contingentare l’accesso alle parti comuni (es. mense, spogliatoi, aree fumatori, distributori bevande), mediante ingressi scaglionati.
Tra le misure di prevenzione e protezione, rientrano:
- l’obbligo dei datori di lavoro di informare debitamente chiunque acceda al luogo di lavoro del comportamento da adottare;
- la possibilità di sottoporre il personale, al momento dell’ingresso, al controllo della temperatura corporea[2];
- la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, con particolare riguardo alle parti comuni, nonché mouse, schermi touch e tastiere;
- l’ampia disponibilità ed accessibilità di mezzi detergenti per le mani;
- l’utilizzo di dispositivi di protezione individuali (es. mascherine, guanti, occhiali, tute, cuffie, camici ecc.), laddove non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza.
A fronte delle suddette disposizioni, i datori di lavoro, quali garanti primari della salute e sicurezza dei propri dipendenti, sono chiamati ad intervenire a livello organizzativo e ad elaborare dei protocolli interni anti-contagio, prestando anche particolare attenzione al rispetto della normativa sul trattamento dei dati personali, poiché l’acquisizione di determinate informazioni, quali la temperatura corporea, costituisce un trattamento di dati, da svolgersi nel rispetto della vigente normativa.
È inoltre interessante osservare che l’art. 42[3] del D.L. “Cura Italia” (n. 18 del 17 marzo 2020) ha previsto che i casi accertati da infezione da coronavirus, in occasione dell’attività professionale, siano considerati dall’Inail come infortuni sul lavoro.
La norma richiamata ha da subito suscitato molti timori per i datori di lavoro, per via della conseguente responsabilità (ci si è chiesto, oggettiva?) per danni ai lavoratori contagiati dal covid-19, ancorché il contagio fosse avvenuto al di fuori dell’azienda.
A far maggior chiarezza, è intervenuto l’INAIL, che con circolare n. 22 del 15 maggio 2020 ha precisato che il datore di lavoro risponde penalmente e civilmente delle infezioni di origine professionale solo se viene accertata la sua responsabilità per dolo o colpa. E dunque, dal riconoscimento delle infezioni da covid-19 dei lavoratori per motivi professionali, non discenderebbe, automaticamente, l’accertamento della responsabilità civile e penale in capo al datore di lavoro.
In altre parole, il rispetto del set di regole messe a punto, a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, eviterebbe all’imprenditore di incorrere in responsabilità sia di natura civile sia penale[4].
Sussiste comunque l’esigenza di un intervento normativo a chiarimento della superiore questione, su cui l’interpretazione dell’Inail non è certo sufficiente a definire i criteri di attribuzione di responsabilità in capo al datore di lavoro.
Nel contempo occorre garantire il pieno rispetto delle misure dei citati Protocolli, avendo cura di verificare se, a livello regionale, esistono nuovi provvedimenti, com’è il caso della Regione Lombardia, che con Ordinanza n. 555 del 29/05/2020 ha esteso l’efficacia di alcuni degli obblighi sopra indicati sino al 14/06/2020, introducendo, quale allegati, una serie di specifiche indicazioni da seguire, suddivise per attività.
Massimiliano Gaini e Deborah Fidente
Articolo aggiornato al 3 giugno 2020, ore 11.30
[1] I protocolli sono stati adottati dalle parti sociali in attuazione del D.P.C.M. 11 marzo 2020, art. 1, comma 1, n. 9 “in relazione a quanto disposto nell’ambito dei numeri 7 e 8 si favoriscono, limitatamente alle attività produttive, intese tra organizzazioni datoriali e sindacali”.
[2] Per la Regione Lombardia si segnala che l’art. 1, comma 1.3 lett. a, dell’ordinanza del 17 maggio 2020 n. 547 impone ai datori di lavoro di rilevare, prima dell’accesso al luogo di lavoro, la temperatura corporea del personale.
[3] Art. 42, comma 2, D.L 18/2020: “Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato”.
[4] Cfr. art. 2087 c.c. e artt. 2, 18, 299, T.U. Sicurezza.