La risoluzione della questione relativa ad un possibile allargamento di responsabilità della società controllata alla società controllante (c.d. responsabilità “ascendente”) è enucleata nella decisione della Corte di Cassazione (sent. 20 giugno 2011 n. 24583), nella parte in cui afferma che “un generico riferimento al Gruppo non è sufficiente per affermare la responsabilità della Capogruppo ai sensi del d. lgs. 231/2001”.
Al fine di configurare tale responsabilità, il legislatore richiede appunto un interesse diretto ed immediato della società coinvolta: la mera presenza di attività di direzione e coordinamento da parte di una società su un’altra, infatti, non è motivo sufficiente perché entrambe rispondano ai sensi del d. lgs. 231.
A tal proposito, occorre sottolineare come la Suprema Corte non abbia assunto un atteggiamento particolarmente aperto verso una automatica espansione della responsabilità nel Gruppo, essendosi preoccupata di negare che la mera esistenza di rapporti di Gruppo possa giustificare l’allargamento della responsabilità ex crimine a società non collegate all’autore del reato-presupposto (salvo la presenza di un concorso di persone in questo, che coinvolga esponenti qualificati dei vari enti).
La responsabilità da illecito amministrativo dipendente da reato, quindi, potrà colpire la Capogruppo non in modo indiscriminato e irragionevole, ma solo quando sussista nei suoi confronti il criterio di imputazione dell’atto all’ente, cioè l’appartenenza qualificata all’ente della persona fisica che ha commesso il reato, ciò che garantisce dal rischio di qualsiasi arbitraria e ingiustificata estensione della responsabilità (Trib. Milano, 20 settembre 2004 e Trib. Milano, 20 dicembre 2004).
Dunque, non è legittima l’attribuzione di default della responsabilità agli esponenti apicali del Gruppo, quale portatore di un interesse che prescinde dalle particolari posizioni delle diverse società che compongono il Gruppo per identificarsi in un interesse unitario, da riferirsi direttamente alla holding o al raggruppamento imprenditoriale complessivamente inteso. Una diversa interpretazione si fonderebbe solo su deduzioni presuntive, caratterizzate dal far derivare dalla mera direzione unitaria della Capogruppo il suo interesse alla consumazione di reati immediatamente vantaggiosi per le sole controllate. Trattasi questa non già di interpretazione estensiva o di procedimento analogico, ma di falso procedere in malam partem.
Peraltro, con un procedimento analogico in malam partem, la Capogruppo risulterebbe amministratore di fatto della società controllata nell’interesse e nel contesto operativo della quale si è concretizzato il reato-presupposto, per cui sussisterebbe l’interesse della controllante. Anche detta estensione non pare tuttavia accettabile, poiché nuovamente caratterizzata da una serie di presunzioni, con non ultima una qualificazione dell’interesse della controllante come mediato ed indiretto e non già, come doveroso, immediato e diretto.