Uno degli aspetti più dibattuti in sede di divorzio è certamente quello economico, con tutti gli elementi ad esso connessi, come l’assegno divorzile.
Lo è quando si cerca di trovare un nuovo assetto familiare all’esito della rottura del matrimonio.
Lo è anche dopo, a fronte di modifiche soggettive ed oggettive nella vita degli ex coniugi, da cui derivano o si chiedono nuovi equilibri.
Più volte le Corti (di ogni grado e sede) si sono espresse in materia.
Non più tardi del maggio 2017, la Cassazione era già intervenuta con una sentenza che aveva fatto molto parlare per il suo potere innovativo (Cass. Civ. 11504/2017): si assegna rilevanza non più al tenore di vita, ma esclusivamente alla “non indipendenza economica” della parte richiedente, superando gli orientamenti sinora adottati.
Questo orientamento innovativo è stato poi temperato dalla successiva Cass. Civ. 18287/2018, con cui le Sezioni Unite hanno attribuito all’assegno divorzile una funzione composita, non solo assistenziale, ma anche perequativa e compensativa.
Ancora, una volta la Corte di Cassazione è tornata sul tema.
È l’Ordinanza del 16 marzo scorso (la n. 8577) che ci offre l’occasione per un aggiornamento e per riprendere principi sempre attuali e utili.
Assegno divorzile e di mantenimento
Una volta sciolto il matrimonio, la sentenza di divorzio può prevedere l’obbligo per un coniuge di versare periodicamente un contributo a favore di quello che si trovi in una condizione economica più disagiata.
Per questo si dice che l’assegno divorzile ha natura assistenziale (a prescinde dal tenore di vita precedente) ed ha lo scopo di garantire il sostentamento al coniuge non autosufficiente.
Questo contributo non è da confondere con l’assegno di mantenimento, applicato in sede di separazione con l’intento di garantire al coniuge percipiente (quello debole) lo stesso tenore di vita acquisito in costanza di matrimonio.
Se la fine del matrimonio non è consensuale ma giudiziale, la determinazione dell’uno o dell’altro assegno viene disposta dal giudice.
Criteri per la determinazione dell’importo del mantenimento
Il riconoscimento dell’assegno di mantenimento è quasi automatico allo scopo di risanare, almeno economicamente, una situazione destabilizzante che l’improvvisa fine di un matrimonio ha generato.
La valutazione avviene sulla base di alcuni criteri:
- la situazione reddituale dei due coniugi che può esprimersi in un reciproco squilibrio economico che influenza la decisione di assegnazione e quantificazione dell’assegno;
- la durata del matrimonio;
- se il coniuge economicamente più debole possieda i requisiti richiesti (età, salute, formazione) per poter lavorare e quindi essere in grado di mantenersi.
Diversamente è più rigorosa la valutazione per assegnare l’assegno divorzile proprio perché nel tempo intercorso tra la separazione e il divorzio gli ex-coniugi possono già mettere le basi per costruirsi una nuova vita.
Con l’assegno di mantenimento si vuole garantire all’ex-coniuge economicamente più debole lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio, mentre con l’assegno di divorzio si intende assicurargli solamente un’autosufficienza economica.
Presupposti e criteri dell’assegno divorzile
Partendo dal presupposto di ottenere una indipendenza economica, il giudice valuterà se attribuire l’assegno divorzile, e come quantificarlo, sulla base – come disciplinato dall’art.5, comma 6, della Legge n.898/1970 – di specifici criteri:
- «condizioni dei coniugi (salute, lavoro, età);
- ragioni della decisione (ossia il motivo per cui uno dei due coniugi abbia chiesto il divorzio);
- contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune;
- reddito di entrambi (stesso criterio richiesto per l’assegno di mantenimento);
- durata del matrimonio, tenendo conto dei criteri precedenti» (criterio tipico del divorzio perché in fase di separazione il matrimonio è ancora in essere e può anche rientrare con una riconciliazione).
Di conseguenza il giudice per attestare che vi siano le condizioni per attribuire l’assegno di divorzio, deve innanzitutto accertare che questo sia effettivamente dovuto e, una volta confermato questo requisito, deve quantificarne l’importo.
Modalità di pagamento dell’assegno divorzile
L’assegno di divorzio può essere pagato:
- in un’unica soluzione (assegno “una tantum”) su accordo delle parti ma, una volta pagato, il coniuge che riceve il pagamento non può avere ulteriori pretese sul coniuge obbligato al versamento.
- come “assegno periodico”, erogabile anche per tutta la vita dell’ex-coniuge economicamente più debole.
Variazione rapporti patrimoniali
Se cambiano i presupposti stabiliti dai suddetti cinque criteri, e quindi si accerta una variazione nei rapporti patrimoniali degli ex-coniugi, l’assegno divorzile periodico può essere modificato, riducendone l’importo o aumentandolo, fino anche al relativo annullamento.
Questo è quello che è accaduto ai due ex-coniugi, protagonisti del fatto giurisprudenziale che abbiamo menzionato all’inizio del nostro discorso, per cui la Corte ha sostenuto la legittimità di ridurre l’assegno divorzile essendo venute meno le condizioni originarie.
Il fatto giurisprudenziale: è legittimo ridurre l’assegno?
Nella sentenza di divorzio emessa dal Tribunale, il giudice stabiliva l’obbligo a carico dell’ex marito di corrispondere, oltre al dovuto assegno di mantenimento per la figlia, un assegno divorzile di 250 euro mensili alla ex moglie.
L’ex marito però propose appello, impugnando la sentenza, per l’obbligo di versare l’assegno divorzile, richiedendone almeno la riduzione; allo stesso tempo l’ex moglie ne pretese l’aumento in considerazione del reddito superiore dell’ex marito.
Ma la Corte d’Appello respinse entrambe le richieste sostenendo che la somma stabilita era adeguata perché, tra gli altri motivi:
- il reddito della ex moglie era impiegato in gran parte per pagare le spese di soggiorno lavorando lontano da casa;
- l’assetto della vita coniugale era stato deciso consapevolmente da entrambi i coniugi.
L’ex marito ricorre quindi in Cassazione assumendo tra i motivi di confronto il ritorno a casa della ex moglie, anche come sede lavorativa.
Questo motivo per la Corte di Cassazione era da considerarsi come fatto decisivo ai fini della risoluzione della controversia e dell’eventuale adeguamento dell’assegno divorzile.
Secondo la Corte, in vista della riqualificazione dell’assegno, invece il giudice d’Appello non aveva tenuto conto:
- del rientro a casa della ex moglie, che comportava di fatto il venir meno di uno dei presupposti che avevano definito l’originaria quantificazione dell’assegno di divorzio;
- delle ulteriori spese che l’ex marito si è trovato a sostenere per l’allargamento della nuova famiglia, che di fatto influivano sul nuovo assetto familiare.
Il principio che si ricava
Ne consegue che, se cambiano i presupposti o si modificano le circostanze su cui si era fondata la sentenza di divorzio, è dunque legittimo chiederne un aggiornamento al fine di ottenere la riduzione (rectius: l’adeguamento) dell’assegno divorzile.
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