In un sistema di mercato dinamico e competitivo quanto può essere fuorviante un atto di concorrenza sleale per l’impresa e per la scelta d’acquisto del consumatore?
Negli articoli precedenti ci siamo occupati dei marchi, con brevi cenni alla loro confondibilità e relativa tutela.
Il marchio è una delle espressioni dell’attività di impresa e come tale rientra nella più ampia disciplina della concorrenza affinché il rapporto o la competizione industriale siano improntati a regole di correttezza e lealtà.
Ci occuperemo dunque della concorrenza, con particolare riferimento a quella sleale. Dovendo contenerci in poche righe, non abbiamo pretesa di completezza (c’è ampia e prestigiosa letteratura sul tema), ma tenteremo una sintesi, rimandando eventuali approfondimenti al caso concreto.
Cos’è la concorrenza?
La concorrenza rappresenta quella condizione nella quale più imprese competono sullo stesso mercato – quale incontro tra domanda e offerta – in cui vengono prodotti beni o servizi per i soddisfare i medesimi bisogni dei consumatori.
Pertanto, la disciplina della concorrenza tutela:
- la libera concorrenza tra imprese;
- la qualità e affidabilità dei prodotti/servizi offerti sul mercato;
- l’informazione che ne deriva;
- gli interessi dei consumatori;
in linea ad una leale strategia di azione.
L’obiettivo è creare un sistema economico dinamico in cui vi siano più offerte, anche sulla stessa tipologia di prodotto/servizio, tra le quali il consumatore può scegliere quella più vantaggiosa per le sue necessità.
Libera concorrenza
Viviamo dunque in un contesto di libera concorrenza, in cui è prevista una sana competizione tra imprenditori, ognuno dei quali adotta specifiche tecniche e strategie al fine di attirare la clientela e, perché no, “rubarla” ai propri concorrenti per ottenere comunque un “vantaggio competitivo” sul mercato.
Tuttavia, è necessario muoversi adottando mezzi, tecniche e comportamenti concorrenziali leciti che rispondano ai principi di correttezza professionale e lealtà della concorrenza (art.2598 c.c.).
Diversamente la concorrenza si fa sleale
Qualsiasi imprenditore che impieghi mezzi non conformi «ai principi della correttezza professionale e idonei a danneggiare l’altrui azienda» (art.2598, c.3, c.c.) compie atti di concorrenza sleale, la cui disciplina (artt.2598-2601 c.c.) è volta a tutelare:
- non solo l’interesse dell’imprenditore a non perdere posizioni di mercato e di fatturato per eventuali comportamenti illeciti e sleali dei relativi concorrenti;
- ma anche un interesse generale a non falsare il giudizio di valutazione dei consumatori che possano essere tratti in inganno e sviati da pratiche commerciali scorrette (tramite anche una pubblicità ingannevole) nella scelta di acquisto di prodotti/servizi (Codice del Consumo, artt.18-27).
Quindi gli attori della concorrenza sleale sono:
- un soggetto attivo che trae vantaggio dall’atto illecito;
- un soggetto passivo che riceve un danno dall’illecito subito.
Vediamo come si può concretizzare o meglio quali sono gli atti di concorrenza sleale.
Atti di concorrenza sleale
– Atti di confusione
Sono atti di illecito concorrenziale (art.2598, c.1, c.c.) quelli tali da generare confusione con:
- i prodotti o servizi di un concorrente e quindi sull’effettiva provenienza degli stessi e l’identificazione dell’impresa;
- l’uso di «nomi o segni distintivi (…) con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri».
– Imitazione servile
Questa si concretizza nella riproduzione delle forme esterne del prodotto del concorrente – intese nell’aspetto complessivo dello stesso o dei singoli elementi del packaging – che ha già assunto sul mercato un suo carattere distintivo, inducendo così in errore il consumatore.
Pertanto, per integrare un atto di concorrenza sleale per imitazione servile occorrerà dimostrare se:
- effettivamente il prodotto originale e quello imitato siano presenti sul medesimo mercato;
- la relativa riproduzione delle forme esteriori sia di fatto idonea a creare confusione e sviamento della clientela che suppone che i due prodotti – imitato e originale – arrivino dalla stessa impresa.
Ai fini della definizione di un eventuale atto di concorrenza sleale, diventa essenziale quindi esaminare:
- il mercato di riferimento, la tipologia di clientela e i suoi effettivi bisogni;
- se i prodotti/servizi che li contraddistinguono sono identici o affini, con il rischio che nella percezione del consumatore i segni possano essere intercambiabili.
– Denigrazione e appropriazione di pregi altrui
Un’ulteriore categoria di concorrenza sleale è rappresentata dagli atti di denigrazione (art.2598, c.2, c.c.): la volontà di un soggetto di mettere in cattiva luce e screditare la reputazione commerciale di un concorrente con diffide e notizie, anche falsate, sui relativi prodotti e attività.
A questa categoria si affianca quella degli atti di appropriazione di pregi dei prodotti/servizi di un concorrente: il soggetto che compie l’illecito fa in modo di incrementare la propria reputazione, conferendo ai prodotti/servizi pregi e qualità che in realtà sono proprie di una o più imprese concorrenti.
Entrambe le categorie hanno lo scopo di alterare la percezione del consumatore e quindi gli elementi tipici di valutazione del pubblico, che sia consumatore o imprenditore, rispetto ad un prodotto/servizio, tramite anche lo strumento della pubblicità ingannevole.
– Pubblicità ingannevole e concorrenza sleale
Si assume quindi che è vietata qualsiasi comunicazione ingannevole da parte di un imprenditore circa, ad esempio, le caratteristiche di un prodotto/servizio, il relativo prezzo e condizioni di vendita, che possa:
- ledere un’impresa concorrente;
- indurre in errore il consumatore che, diversamente, non avrebbe provveduto all’acquisto di quel prodotto/servizio.
Concorrenza parassitaria e dumping
Esistono però altre categorie di concorrenza sleale incluse nella tutela della clausola generale dell’art.2598, c.3, c.c.:
- il dumping, ossia la vendita di prodotti/servizi sotto costo con lo scopo di eliminare le imprese concorrenti dal mercato;
- la concorrenza parassitaria, ossia la sistematica imitazione della strategia aziendale di un concorrente, in termini di prodotti, marchi, campagne pubblicitarie, messa in pratica con quella giusta destrezza da evitare di riconoscere una piena confondibilità delle attività economiche coinvolte.
Effetti dell’illecito concorrenziale
Quali effetti può cagionare un illecito concorrenziale?
- uno sviamento della clientela;
- il conseguimento di un indebito vantaggio;
- un danno economico dell’impresa danneggiata per la perdita di fatturato e di clientela;
- un danno all’immagine e alla reputazione dell’impresa lesa.
Una volta effettuata la raccolta delle opportune prove a dimostrazione della fattispecie controversa come atto di concorrenza sleale e configurato il nesso di causalità del fatto illecito, occorrerà stabilire una strategia di azione che:
- ostacoli la reiterazione dell’illecito;
- definisca il giusto ammontare del risarcimento del danno.
Alla luce di quanto presentato, per avere supporto sulla valutazione giuridica e aziendale se ci siano i presupposti di un atto di concorrenza sleale nei confronti della tua impresa in termini contrattuali, giuslavoristici o di proprietà intellettuale, non esitare, contatta il nostro Studio.