Le imprese sono tenute a prendere in considerazione, sempre più in questi ultimi anni, gli aspetti ambientali, al fine di strutturare la propria crescita in maniera sostenibile, conservando la propria competitività sul mercato globale.
Il concetto di sviluppo sostenibile viene lanciato per la prima volta all’attenzione dell’opinione pubblica nel rapporto della Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo (1987), il quale qualifica come “sostenibile” quello sviluppo teso a venire incontro ai bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni.
Pertanto, le variazioni apportate dalle attività umane alla natura devono permettere alla vita umana di continuare a svilupparsi, senza danneggiare irrimediabilmente il contesto biofisico globale: il tasso di inquinamento e di sfruttamento delle risorse ambientali deve rimanere nei limiti della capacità di assorbimento dell’ambiente ricettore e delle possibilità di rigenerazione delle risorse, secondo quando consentito dai cicli della natura.
Ma dunque, come è possibile sfruttare l’ambiente ed al tempo stesso preservarlo?
La risposta risiede principalmente nel progresso tecnologico. Il solo in grado di ridurre i coefficienti di sfruttamento dell’ambiente per unità di prodotto o servizio, attraverso l’introduzione e la diffusione di tecnologie più pulite ed efficienti, aumentando le attività di recupero dei rifiuti e dei residui, riducendo i consumi di energia, ottimizzando l’utilizzo delle risorse.
Oggi, soprattutto nelle economie avanzate, emergono sì tendenze spontanee nella direzione della sostenibilità, ma trattasi purtroppo di iniziative parziali e non sufficienti. Per cui, si rendono necessarie appropriate politiche pubbliche che favoriscano investimenti specifici nelle tecnologie ambientali da parte delle imprese, al fine della riduzione del loro impatto ambientale. Si parla così di tasse (o tariffe) ambientali, di misure di incentivazione per l’introduzione di tecnologie pulite ed a minor pressione sull’ambiente come sgravi fiscali, contributi in conto capitale, ecc. e di strumenti di tipo volontario come l’EMAS (Eco-Management and Audit Scheme – Regolamento comunitario 1836/93), basati su dinamiche di mercato, per favorire un rapporto nuovo tra imprese, istituzioni e pubblico basato sulla trasparenza, sul supporto reciproco e sulla collaborazione.
Molte imprese hanno aderito sin dal 1991 alla “Carta delle imprese per uno sviluppo sostenibile”, riconoscendo come priorità aziendale la gestione dell’ambiente, valutando preventivamente gli effetti ambientali delle attività aziendali e orientando in senso ambientale la ricerca ed il progresso tecnologico.
Lo sviluppo sostenibile rappresenta l’unica soluzione realistica di fronte al notevole aggravarsi dei problemi ambientali e all’evidenza della crisi del rapporto tra sviluppo e limitatezza delle risorse, che hanno caratterizzato in particolare questi ultimi decenni, salvo che non si vogliano sostenere alternative poco plausibili come lo sviluppo zero, ossia stravolgere completamente le nostre abitudini di vita frenando il consumismo e la crescita dei bisogni.
In questo contesto può trovare spazio e accoglienza il CODICE ETICO e una rivisitazione in chiave positiva della L. 231/01 sulla responsabilità amministrativa e penale degli enti (società), che appunto tende a prevedere – tra gli altri – i reati ambientali e a preservare la sicurezza sul lavoro coordinandosi con il D. L.vo 81/08 (di cui parleremo in un prossimo articolo).