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Preclusione per coesistenza tra marchi: quando è applicabile?

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La pacifica convivenza di due marchi simili nello stesso segmento di mercato, per un periodo di tempo prolungato, è indice dell’applicazione del principio di preclusione per coesistenza.

Ma quali sono i presupposti e gli effetti dell’applicazione di questo principio?

La coesistenza tra marchi potenzialmente in conflitto, che possa cagionare un rischio di confusione, presuppone la presenza contemporanea di due marchi tra loro simili, riferiti a prodotti o servizi identici o tra loro concorrenti.

Il titolare del marchio di fatto confida nel principio di affidamento e, in virtù anche dell’inerzia del titolare del marchio registrato, continua ad utilizzare in maniera legittima il proprio marchio sul mercato, incrementandone così la relativa rinomanza.

Il tema qui proposto trae esperienza da un caso che ci ha visti  vittoriosi in un conflitto deciso dal Tribunale di Milano (sent. n.3320,15 marzo 2016) e confermato dalla Corte (sent. n.547/2018) –  di cui  abbiamo fatto memoria in un nostro precedente contributo – e si ripresenta sullo spunto di una recente sentenza (Corte d’Appello Venezia, sent. n. 826 del 2 maggio 2024).

Questi richiami giurisprudenziali (di cui un rimando anche all’ordinanza Cass. n.23727/2023) ci offrono l’occasione per soffermarci sulle:

  • dinamiche relative al principio di preclusione per coesistenza tra marchi;
  • condizioni di applicabilità e i relativi effetti.

Cos’è il principio per coesistenza e il diritto di preclusione?

Individuabile quale principio generale, stabilisce che, a determinate condizioni, due marchi d’impresa (anteriore e posteriore) simili o identici, possono coesistere nello stesso mercato e/o anche settore merceologico, pur generando potenzialmente un:

  • rischio di confusione per il pubblico,
  • così come un rischio di associazione tra segni,

(art. 20, c.1, lett. b, c.p.i).

Tale principio fa presupporre che se due marchi possono convivere per un certo periodo di tempo in maniera pacifica, senza che si verifichino eventi confusori tra i consumatori, si presume che ciò possa verificarsi anche in futuro.

Di conseguenza la simultanea, pacifica coesistenza tra i due marchi per un lungo periodo crea un “diritto di preclusione” per il titolare del marchio posteriore, per cui il titolare del marchio anteriore non può impedire l’uso del segno posteriore, che sia identico o simile al primo, e/o il relativo annullamento.

L’aspetto essenziale è che tale legittimo uso non vada a pregiudicare la funzione primaria del marchio, la funzione distintiva, quale garanzia di provenienza per i consumatori di un determinato prodotto/servizio contraddistinto dal marchio anteriore.

Questo è espressione del principio di preclusione per coesistenza, di cui la stessa interpretazione giurisprudenziale ne ha dato prova di applicabilità, caso per caso, come ci ricorda la sentenza n.3320 del 15 marzo 2016.

Indebolimento del rischio di confusione

Nel caso di specie il giudice di merito ha ritenuto che la pacifica coesistenza sul mercato di due marchi (anteriore e posteriore) per una durata superiore ai cinque anni, in particolare:

  • per un periodo di tempo “trentennale”,
  • a determinate condizioni,

indebolisce il rischio di confusione tra gli stessi, non pregiudicando la funzione di indicazione di provenienza del marchio anteriore.

Difatti, qualora in origine i due marchi avessero generato un “effetto confusorio” per associazione, forte era l’interesse del titolare del marchio anteriore di proteggere il proprio diritto dal rischio di confusione sulla reale provenienza dei relativi prodotti/servizi.

Tuttavia a distanza di tempo (appunto 30 anni), in mancanza di una concreta e reale azione del suddetto titolare, tale rischio è da rilevarsi come ipotetico e astratto, dato che la modalità di coesistenza dei due marchi si trasforma da “in potenziale conflitto” a “pacifica”.

In tal senso quindi si acconsente al legittimo affidamento del titolare del marchio posteriore di poter continuare ad utilizzare il proprio segno, purchè nei limiti del segmento di mercato in cui è già presente e conosciuto, del target di clientela e della modalità con cui propone i suoi prodotti/servizi.

Inoltre si agisce perché il consumatore possa maturare la consapevolezza che nei prodotti/servizi e nei marchi che li contraddistinguono, sia ragionevole individuare delle “differenze” rilevanti da poterli riconoscere e collegarli alle relative imprese.

Di conseguenza, data la “pacifica” coesistenza dei marchi, e, qualora non si sia avuto modo di provare che dalla convivenza dei segni è derivato un «qualche pregiudizio all’immagine o del patrimonio per effetto dell’uso del segno contestato», si può confermare che il marchio posteriore non pregiudica la funzione distintiva di quello anteriore.

Quando sussiste il rischio di confusione tra marchi?

Per valutare se tra due marchi identici o simili presenti sul mercato, e quindi tra loro confondibili, si configuri un atto di contraffazione, occorre procedere a considerare due aspetti:

  • da una parte è bene confrontare i due marchi in potenziale conflitto, quello anteriore e quello posteriore, per valutarne la somiglianza;
  • dall’altra parte è opportuno verificare quali siano i rispettivi settori merceologici in cui vengono utilizzati.

In particolare l’analisi comparativa tra i due marchi, di cui si può dedurre una somiglianza, e quindi confondibilità reciproca, si valuta in base alla:

  • «Impressione complessiva»

– ovvero nella sua dimensione denominativa unita a quella grafica – che l’osservatore ha su di essi, da qualificare presumibilmente come simili, in quanto la suddetta «impressione», che si costruisce «sul ricordo dell’uno e dell’altro (marchio), tiene conto certamente più degli elementi di somiglianza che di quelli di differenziazione» (Trib. Milano, sent. n.3320/2016);

  • Percezione

che il pubblico, nella persona del consumatore medio, ha dei segni in conflitto e del sostanziale messaggio che il marchio effettivamente comunica.

In realtà si assume che la confondibilità tra marchi simili o identici possa essere eliminata non solo dalla pacifica coesistenza dei segni per un lungo periodo, ma anche dai differenti messaggi trasmessi al pubblico, quali espressioni evocative veicolate dai due marchi in conflitto, implicando una diversa percezione degli stessi.

Infatti, la funzione del marchio non si ferma alla sola funzione distintiva di indicazione di provenienza ma, ai fini dell’acquisizione del carattere notorio, si affianca anche una funzione promozionale (marketing, campagne pubblicitarie) e una funzione di comunicazione.

Con quest’ultima si intende evocare e valorizzare l’immagine del segno tramite la scelta di messaggi personalizzati e attrattivi per il consumatore: in tal modo il marchio diventa un efficace strumento di comunicazione.

Diversificare il messaggio dei due marchi confliggenti in modo che sia percepito dal pubblico, in coerenza con la differente immagine e reputazione che le due imprese nel tempo hanno voluto costruire sul mercato, permette di escludere la presenza di un rischio di confusione, così come quello di agganciamento tra i due marchi, a protezione di condotte di concorrenza sleale (art.2598 c.c.).

Preclusione per coesistenza: condizioni di applicabilità 

Da quanto menzionato in narrativa, a questo punto si possono dedurre quali sono i requisiti per cui ritenere valida l’applicazione del principio di preclusione di coesistenza.

Pacifica e prolungata coesistenza

Due marchi possono convivere in maniera pacifica nello stesso mercato per un lungo periodo se non siano state rilevate contestazioni o azioni legali da parte del titolare del marchio anteriore.

Naturalmente il “periodo di tempo” sarà valutato caso per caso dal giudice, in funzione della notorietà dei due segni, dei settori merceologici di riferimento e del segmento di mercato in cui sono commercializzati i prodotti/servizi coperti.

Principio di buona fede

Il titolare del marchio posteriore, nel momento in cui inizia ad utilizzare il proprio marchio sul mercato, deve essere in “buona fede”, ovvero deve essere consapevole di agire senza ledere i diritti del titolare del marchio anteriore e di aver adottato tutte le misure cautelative necessarie per evitare di ricadere nel rischio di confusione tra i consumatori.

Tutela della privativa

La coesistenza dei marchi non deve pregiudicare la funzione distintiva del marchio anteriore, ovvero la sua capacità di individuare e distinguere i prodotti/servizi dell’impresa.

Quando la preclusione per coesistenza non è applicabile?

Indubbiamente il principio in esame non è sempre applicabile, come nel caso in cui il marchio posteriore viene registrato in mala fede (art.19, c.2, c.p.i.) allo scopo, ad esempio, di sfruttare la notorietà di quello anteriore.

Ugualmente non può essere applicato in caso si riscontri un effettivo e concreto rischio di confusione verso il pubblico tra i due marchi in conflitto, così come nel caso in cui la loro coesistenza pregiudichi la funzione distintiva del marchio anteriore.

In conclusione, il principio di preclusione per coesistenza è un importante e complesso strumento giuridico per la tutela dei marchi che intende bilanciare gli interessi contrapposti delle imprese e dei consumatori in materia di marchi.

La sua applicazione consente pertanto di garantire la tutela dei diritti dei titolari dei marchi, pur favorendo la concorrenza e la libertà d’impresa, sempre che non vi sia un concreto rischio di confusione per i consumatori.

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