La cassa integrazione è un ammortizzatore sociale che prevede il versamento di una somma di denaro, da parte dell’Inps, a sostegno del lavoratore che ha subito una riduzione o sospensione dell’attività lavorativa da parte del datore di lavoro.
In funzione delle motivazioni che permettono l’applicazione della cassa integrazione e dei soggetti che ne possono beneficiare, è possibile individuare tre categorie di cassa integrazione:
- ordinaria
- straordinaria
- in deroga.
In questa sede diventa piuttosto impegnativo e lungo descrivere nel dettaglio ogni specifica tipologia di cassa, i suoi presupposti e relative funzionalità, per cui ci focalizzeremo subito sul tema che ci preme spiegarvi: la scelta e la rotazione dei lavoratori.
Quali sono i criteri applicabili all’istituto della cassa integrazione? In che modo avviene la scelta di un lavoratore piuttosto che di un altro?
I principi di rotazione della cassa integrazione
La normativa non prevede un espresso obbligo di rotazione dei lavoratori, ad eccezione della cassa integrazione straordinaria, art.24, c.3, D.Lgs.148/2015, in cui i criteri di scelta e rotazione sono decisi congiuntamente con le rappresentanze sindacali.
In genere il datore di lavoro deve agire rispettando i principi generali di correttezza, buona fede e non discriminazione nella scelta dei lavoratori da porre in cassa, applicando idonei e oggettivi criteri di scelta, dato che di per sé l’applicazione dell’ammortizzatore sociale penalizza già il lavoratore a livello economico.
In linea generale la cassa integrazione prevede l’obbligo di stipulare un accordo sindacale in cui:
- disciplinare tutti gli aspetti economici e giuridici connessi al funzionamento e utilizzo;
- includere, a discrezione delle parti, anche i criteri di scelta dei lavoratori e le modalità di esecuzione della relativa rotazione.
L’accordo sindacale
Secondo la disciplina dettata per la CIGS, l’accordo sindacale deve includere:
- la durata e numero dei lavoratori interessati alla sospensione e riduzione di orario e le motivazioni per cui non è possibile applicare misure alternative di riduzione dell’orario;
- i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere che, di fatto, devono essere congruenti con i motivi per cui si richiede l’applicazione dell’ammortizzatore sociale;
- le modalità di rotazione e le ragioni per cui il datore di lavoro reputi non sia necessario utilizzarle.
Di conseguenza, la firma di un accordo sindacale in cui sono stati fissati i criteri di rotazione, è vincolante, obbligando quindi il datore di lavoro a rispettarlo; diversamente si potrà imputargli una condotta antisindacale e discriminatoria nei confronti del lavoratore.
Se dunque il datore intenda sospendere l’attività lavorativa di uno o più reparti per metà dell’orario normale, per i giorni di attività dovrà applicare un criterio oggettivo di rotazione, al fine di garantire a tutti i lavoratori del reparto, a parità di mansioni, di poter lavorare in pari misura. E ciò salvo particolari esigenze aziendali, da motivare e concordare in sede di accordo.
Criteri di gestione della rotazione tra lavoratori in cassa integrazione
La cassa integrazione prevede che comunque in linea generale il datore di lavoro debba rispettare i criteri di scelta e rotazione dei lavoratori a loro tutela, per tre ordini di motivi:
- la penalizzazione economica verso il lavoratore, dato che la retribuzione in cassa integrazione è inferiore a quella ordinaria;
- il rispetto dei suddetti principi da parte del datore di lavoro;
- l’applicazione per analogia della disciplina della Cassa integrazione straordinaria (CIGS), in caso si opti per l’inclusione nell’accordo dei criteri di rotazione.
In particolare, è fondamentale l’impiego del criterio di rotazione che tenga conto delle mansioni e competenze specifiche del lavoratore, e quindi della sua professionalità a prescindere dal suo inquadramento.
Per questo il datore di lavoro dovrà garantire un’equa distribuzione della rotazione tra tutti i lavoratori in base alla stessa mansione svolta, affinché gli effetti della riduzione dell’orario di lavoro siano equilibrati e non discriminatori.
Ma durante l’emergenza sanitaria, il Legislatore ha concesso una deroga per l’accesso alla cassa integrazione anche senza un accordo sindacale, fermo restando la necessità dell’obbligo di comunicazione preventiva della cassa integrazione al sindacato.
Cassa integrazione in deroga Covid-19
Durante l’emergenza sanitaria molte imprese in crisi hanno dovuto affrontare la situazione tramite l’impiego di ammortizzatori sociali.
Per questo, il Legislatore al fine di semplificare la procedura di adesione, ha concesso una deroga per accedere alla cassa integrazione:
- nessun obbligo di stipula di un accordo sindacale;
- mantenimento dell’obbligo in capo al datore di lavoro di una comunicazione preventiva dell’intenzione di attivare la cassa integrazione e di un esame congiunto.
Malgrado la deroga, il datore di lavoro deve comunque rispettare sempre i principi di correttezza, buona fede e non discriminazione e garantire l’impiego di criteri coerenti alle finalità di trattamento di integrazione retributiva.
La normativa emergenziale, tuttavia, non dispone un espresso obbligo circa il rispetto del criterio di rotazione.
La fattispecie è nuova, ma allo stato attuale dottrina e giurisprudenza risultano comunque propensi a ritenere che anche nella cassa in deroga covid-19 il datore di lavoro, seppur formalmente esonerato dall’indicare i criteri di scelta e rotazione dei lavoratori, non sia esentato dal rispettarli.
Di diverso orientamento però risulta l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Perugia che in una recente decisione (del 14 febbraio 2022) ha stabilito che il criterio di rotazione dei lavoratori non può essere applicato in nessun caso alla cassa integrazione in deroga Covid-19.
La motivazione è riscontrabile nel fatto che si tratta di una situazione appunto emergenziale, in cui lo strumento della cassa in deroga è di per sé «eccezionale e dotato di necessaria flessibilità applicativa».
Inoltre, non si può ignorare che la normativa in materia non ne prevede l’obbligatorietà.
Nella decisione si conferma invece che è indubbio il dovere del datore di lavoro di osservare gli ormai noti principi di correttezza, buona fede e non discriminazione.
Effetti in caso di inosservanza della rotazione
Ma cosa succede quando il datore di lavoro non rispetta i criteri di scelta e rotazione dei lavoratori?
Secondo la giurisprudenza formatasi sul tema, il lavoratore sospeso illegittimamente dall’attività lavorativa in cassa integrazione, senza un’adeguata applicazione del criterio di rotazione e quindi in violazione dello stesso, avendo subito un danno, ha diritto al risarcimento:
- pari alla retribuzione persa, per cui il lavoratore essendo stato messo illecitamente in cassa integrazione può richiedere un’indennità risarcitoria;
- per il demansionamento subito, ossia la «forzata inattività» del lavoratore costretto alla cassa integrazione che di fatto è il tipo di demansionamento più grave.
In particolare, il danno potrebbe colpire sia l’immagine e capacità professionale del lavoratore, all’interno e all’esterno del contesto aziendale, sia la sua salute, per cui la sofferenza da demansionamento potrebbe provocare un’effettiva patologia, con onere di puntuale dimostrazione a carico del lavoratore.
Di conseguenza, il lavoratore che nella sospensione dal lavoro e quindi nella prolungata inattività vede lesa la sua immagine e dignità professionale e personale, può richiedere in giudizio la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, subito.
Vi sono invece pareri discordanti circa la possibilità di chiedere la riammissione in servizio da parte del lavoratore. Da ultimo la Cassazione si è espressa negativamente (con sentenza 20 aprile 2021, n. 10378), negando il diritto alla riammissione in servizio, fermo restando quello al risarcimento dei danni.
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