In caso di responsabilità per mala gestio dell’amministratore di una società – tema affrontato nel nostro precedente contributo – a danno dell’integrità del patrimonio sociale, si rende necessaria la quantificazione del danno.
Talvolta all’evento illegittimo contestato ad un organo sociale, consegue un danno diretto di immediata quantificazione (si pensi alla vendita di asset aziendale ad un prezzo inferiore a quello di mercato).
Altre volte, spesso, non è semplice stabilire la misura del danno cagionato dall’evento (come in caso di aggravamento del dissesto o omessa tenuta delle scritture contabili) per cui in passato si è fatto uso del criterio presuntivo della c.d. differenza tra i netti patrimoniali, di creazione giurisprudenziale.
Criteri di quantificazione del danno
In tali evenienze, corre in aiuto la nuova formulazione dell’art.2486, terzo comma, del codice civile – introdotta dall’art.378 del D. Lgs. 14/2019 – che consente la liquidazione del danno in via equitativa, tramite due criteri di valutazione.
1) Criterio dei c.d. netti patrimoniali
Rappresenta il criterio principale di quantificazione del danno, il quale è individuato nella «differenza tra il patrimonio netto, alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica, e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento».
2) Metodo del c.d. deficit fallimentare
Secondo il quale la quantificazione del danno coincide con la differenza tra l’attivo e il passivo fallimentare.
Tale criterio, di per sé, è da ritenersi approssimativo proprio perché, se pensiamo ad esempio all’attivo, questo può includere la svalutazione dei beni a seguito di dichiarazione di fallimento.
Il metodo è applicabile in caso di attivazione di una procedura concorsuale, per la mancanza di scritture contabili, o in caso non ci siano elementi compatibili con l’applicazione del criterio dei netti patrimoniali.
Quantificazione del danno e onere della prova
Ancor prima delle modifiche al codice civile di cui sopra, era saldo il principio secondo cui, seppur accertata la responsabilità dell’amministratore per condotta inadempiente, l’attore fosse sempre tenuto a dimostrare sia il nesso causale tra la condotta dell’amministratore e il danno causato al creditore sociale, che l’ammontare del danno.
Con la nuova formulazione dell’art. 2486 c.c. è stata di fatto introdotta un’effettiva «inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore in merito alla quantificazione del danno».
Sarà l’amministratore quindi a dover dimostrare che la sua condotta (seppur inadempiente) non abbia cagionato un danno alla società di importo pari a quello stabilito in via presuntiva (con il criterio dei netti patrimoniali o del deficit fallimentare).
Questo è quanto è stato sostenuto dalla Corte di Appello di Roma nella sentenza n. 2649 del 13 aprile 2021, che qui richiamiamo per aiutarvi a capire il tema in esame.
Il fatto
L’amministratore di una società di capitali sottoposta a fallimento è stato condannato per condotta illecita a causa del riscontro di una serie di irregolarità che avevano comportato una grave perdita del capitale sociale.
L’azione fu aggravata dalla mancata convocazione dell’assemblea (art.2447 c.c.) e dall’illegittima prosecuzione dell’attività a discapito «della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale» (art.2486, c.1, c.c.) e in violazione dei precisi obblighi di legge.
Il giudice di merito, sulla base degli elementi di prova, ha accertato l’illecito e individuato, per effetto del nesso causale tra il danno e la condotta inadempiente, il risarcimento sulla base del criterio dei patrimoni netti.
A seguito del giudizio, l’amministratore ha impugnato la sentenza di merito, con ricorso in Appello, presentando come motivi:
- un’illegittima applicazione del criterio di quantificazione del danno dei netti patrimoniali;
- la mancata individuazione della condotta illecita e dei relativi elementi di prova che ne attestassero la validità;
sostenendo che l’eventuale condotta illecita poteva essere riconducibile alla sola mancata convocazione dell’assemblea.
Al contrario la Corte ha dichiarato infondate queste motivazioni, individuando infatti il danno come generato dal comportamento inadempiente dell’amministratore e quantificandolo con il criterio dei patrimoni netti (tra l’altro disponendo che il nuovo art. 2486, terzo comma, c.c. abbia efficacia retroattiva).
Ammissibilità del criterio di quantificazione del danno
Quello introdotto dall’art. 2486, terzo comma, c.c. pare esser così diventato il criterio ordinario di quantificazione del danno nei casi in cui sia accertata la responsabilità dell’organo amministrativo per mancata conservazione del valore e dell’integrità del patrimonio sociale (come da art. 2486, c. 1, c.c.).
In questo modo dottrina e giurisprudenza possono costruire basi certe sull’ammissibilità del criterio di quantificazione del danno, sinora oggetto di valutazione delle Corti troppo spesso confliggenti.
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